Il fenomeno della migrazione femminile, che nelle ultime decadi ha subìto un grande incremento, è legato a diverse dimensioni.
La prima è la natura di queste migrazioni, definite gender selective poiché basate sul genere e legate alla domanda sempre più alta da parte di alcuni paesi di persone che suppliscano alle carenze del welfare.
Queste migranti ricoprono ruoli di assistenza domestica, i quali sono spesso associati per stereotipo alle donne.
In secondo luogo, il lavoro come motivo dell’emigrazione produce effetti sul ruolo delle donne che ne sono coinvolte, le quali sperimentano l’indipendenza economica e quindi l’emancipazione superando il binomio uomo-capofamiglia.
Un terzo aspetto della migrazione femminile è che spesso presuppone la componente familiare e in particolare dei figli.
La maternità determina fenomeni migratori diversi. Da un lato molte donne emigrano lasciando, seppur momentaneamente, i figli nel paese di origine.
Dall’altro alcune donne portano con sé la propria famiglia, altre ancora decidono di crearsi una nuova famiglia e iniziare il percorso della maternità in Italia.
La presenza dei figli nella migrazione femminile è quindi rilevante e determina conseguenze culturali psicologiche e sociali.
Innanzitutto culturali: la maternità in molti paesi è ancora vista come il massimo punto di realizzazione dello status di donna, e le modalità con cui viene messa in pratica risentono moltissimo del contesto culturale del paese d’origine.
Dal punto di vista psicologico il care drain, ovvero la migrazione femminile per ricoprire ruoli di cura e assistenza porta all’allontanamento dai figli, lasciati nel paese di origine.
È stato osservato che la lontananza dei figli e la natura di queste mansioni, abbiano portato a fenomeni come il burnout, e alla problematica degli orfani bianchi.
Socialmente, se l’esperienza della maternità della donna immigrata in Italia non è supportata da un nucleo familiare stabile e da corrette politiche di assistenza e inclusione, l’integrazione nel tessuto sociale del paese ospitante è più difficoltosa.
Sulla base di questo per le donne migranti e lavoratrici il ricongiungimento per ristabilire il nucleo familiare è fondamentale.
Legislativamente, il ricongiungimento in Italia, la cui ratio è l’Unità familiare, è messa in atto sulla base di alcuni requisiti e attraverso il rilascio di un visto per ricongiungimento familiare.
Tale Visto permette tra le altre cose il diritto all’accesso a servizi assistenziali, all’istruzione e al lavoro autonomo o subordinato.
Maggiori informazioni sono disponibili sul sito web www.integrazionemigranti.gov.it.
Per le donne che nel processo migratorio decidono di portare con sé i propri figli o di affrontare una gravidanza, la sfida all’integrazione e all’assistenza è in buona parte soddisfatta dall’ associazionismo nazionale e territoriale.
Questi servizi forniscono informazioni e permettono loro una rete di sostegno qualora manchi alla donna una figura o un nucleo familiare a cui appoggiarsi e orientano all’accesso ai servizi socio-sanitari.
Dal punto di vista sanitario, la possibilità di avere accesso alle cure, nei consultori e negli ospedali è gratuito e per tutte, aventi o meno permesso di soggiorno. I bonus per la maternità invece sono rivolti alle donne soggiornanti per un lungo periodo.
È fondamentale che nei servizi sociali e sanitari dedicati alle donne straniere, venga affiancata una figura che svolga mediazione linguistica e culturale.
Ciò servirà per ovviare sia al problema della difficile comprensione linguistica in cui si può incorrere, sia per conciliare i codici culturali delle donne che accedono ai servizi di assistenza con quelli che cratterizzano il parto e la maternità nel paese di accoglienza.